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02 apr 2020

Saper essere nella pandemia

Una riflessione di Riccardo Santilli, Responsabile HR di ItaliaCamp, sulla necessità di “saper essere” nell’emergenza coronavirus

Riccardo Santilli saper essere nella pandemia

Sono passati oltre 20 giorni dal lockdown del Paese: era il 9 marzo quando il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciò un confinamento coatto che si andava a sommare alla chiusura delle scuole e a quello parziale delle zone maggiormente colpite dal coronavirus di qualche giorno prima. Un confinamento che a tappe e decreti si sarebbe intensificato nelle settimane successive. Ci siamo quindi trovati catapultati in un contesto inedito, per ognuno di noi come individuo e per la collettività. Una serie di micro-trasformazioni personali e professionali e di macro-cambiamenti internazionali che hanno riscritto la quotidianità di tutto il mondo.

Così, da oltre un mese, viviamo una “pandemia”: non possiamo uscire dalle nostre case se non per ragioni di necessità, con le strade vuote e le file chilometriche fuori dai supermercati; molte fabbriche sono chiuse e polizia ed esercito pattugliano le strade per far rispettare le straordinarie norme emanate. Sono tanti giorni, giorni durante i quali le persone iniziano a essere minacciate dalla perdita del lavoro, laddove non è già avvenuta; durante i quali le lezioni in teleconferenza stanno diventando una sfiancante quotidianità e non più un esperimento affascinante; durante i quali quotidiani, riviste on-line e telegiornali parlano incessantemente del coronavirus, dando una copertura h24 e ipertrofica dell’emergenza sanitaria che stiamo vivendo. D’altronde non accade altro se non quello che stiamo vivendo, per cui di cosa si dovrebbe parlare?

La metafora più blasonata in questa narrazione è quella della guerra. Sono in guerra medici e infermieri negli ospedali covid19 che ogni giorno lottano per tenere in vita i malati con le complicazioni più gravi, siamo in guerra noi che come cittadini responsabili dobbiamo “combattere il virus restando in casa”. Ma leggendo i libri di storia, viene spontanea una domanda: siamo pronti a tutto questo? Accantoniamo notizie e polemiche sulle forniture di mascherine, di reagenti per i tamponi e dei ventilatori polmonari che ricordano i Ragazzi del ’99 o le scarpe di cartone del CSIR nella Campagna di Russia. Anzi, lasciamo da parte le metafore, perché le guerre si combattono uccidendo le persone, mentre qui si lotta ogni giorno per salvarne il più possibile. Quello che dovremmo chiederci però è se la nostra comunità sia mai stata formata per affrontare una situazione di crisi ed emergenza senza pari.

Da anni con ItaliaCamp quando parliamo di formazione parliamo di “saper essere” un concetto che in questi tempi mi sembra particolarmente adatto per dare un senso profondo alle trasformazioni che stiamo vivendo: il saper essere è la disposizione a dare “senso” all’esperienza vissuta e al contesto storico e sociale al quale apparteniamo; una meta-competenza che pone uomini e donne nelle condizioni di costruire percorsi di senso in tutte le differenti fasi della vita, sia nella sfera individuale che in quella più ampia del contesto sociale.

La nuova realtà che si manifesta davanti ai nostri occhi ci impone infatti una capacità di adattamento che fino a circa un mese fa non ci era mai stata richiesta, sicuramente non come collettività. Nell’attuale contesto, sotto lo stress psicologico, sociale ed economico al quale siamo sottoposti, “saper essere” vuol dire essere capaci di progettare, apprendere e maturare nuove visioni, muovendosi su tempi brevissimi e delineando al tempo stesso azioni che tengano conto degli effetti a lungo termine e delle trasformazioni più profonde che ci attendono. Un’elasticità pro-attiva che non si limita a subire il senso e il contesto, ma che si manifesta come capacità di adattare il contesto stesso ai bisogni individuali e soprattutto collettivi. Si tratta di una riposta costruttiva che forse è qualcosa di differente o di più sfidante rispetto alla stessa resilienza al mutamento.

Se la resilienza (la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico assorbendone l’urto e rimanendo sensibile alle opportunità positive) si attiva infatti in contesti critici e alla quale dunque è difficile essere già educati, il saper essere è necessario in ogni fase della vita, non solo in momenti complicati: da una trasformazione ordinaria, quasi biologica, come la fine dell’università e il conseguente ingresso nel mondo del lavoro, fino al paradosso solo apparente di un cambio di status eccessivamente fortunato come magari il riuscire a non perdere la testa dopo una vittoria alla lotteria particolarmente fortunata.

Il saper essere implica una capacità trasformativa che non mira solo a fronteggiare le difficoltà, ma a ridefinire il proprio orizzonte di senso, stabilendo un nuovo modo di “stare nel mondo”, con nuovi presupposti e nuove prassi. Da un lato ci si adatta al cambiamento, ma dall’altro si fa in modo che questo adattamento rappresenti il momento fondativo un nuovo progetto di vita del soggetto o della comunità: trasformarsi per dare senso e creare nuovi paradigmi e uscire da una crisi grazie a una ritrovata capacità di trovare soluzioni significative. Una capacità che permetta di avere un piede ben fisso nel presente per vivere nel migliore dei modi la crisi e uno pronto al balzo verso il domani, per superare l’emergenza grazie alla predisposizione per trovare soluzioni coerenti al contesto vissuto.

Il concetto di saper essere è la colonna fondante del nostro ITALIA TEAM Scuola dell’Umano, un progetto con il quale ci proponiamo di creare un luogo aperto ai cittadini di tutte le età, la cui proposta culturale ed educativa ha proprio lo scopo di riaffermare la centralità dell’umano nel rispondere ai bisogni di comprensione del cambiamento, autosviluppo e attribuzione di senso alla propria esperienza di vita. Un luogo di formazione per conoscere le leve “umanistiche” di questa trasformazione: l’apprendimento di nuove conoscenze e capacità, i valori e la connessione di persone e conoscenze.

Ci sono esperienze che cambiano profondamente le organizzazioni sociali. Se ci fossimo ripetuti questa frase tre mesi fa, non l’avremmo capita quanto oggi. Ci sono però organizzazioni sociali che “sanno essere” tali perché pur nella necessità, la modalità del cambiamento e la specificità della risposta rimangono una loro scelta.

Nel saper essere di questa scelta è presupposto il domani.