16 apr 2020
Il ruolo dell’innovazione sociale nella ripartenza
Quale ruolo dovrà giocare l’innovazione sociale per la ripartenza dopo la fase emergenziale della pandemia da Covid-19? Ne parla Gabriella Barone, nostra Responsabile Strategic Development & Research
L’emergenza coronavirus ci ha messo davanti a una serie di micro e macro trasformazioni e ora che dopo oltre un mese di quarantena, quello che prima era “eccezionale” si è trasformato in “routine”, si dovrebbe forse ancor di più continuare a interrogarsi sulla portata di queste mutazioni e sul ruolo che ci apprestiamo a svolgere come attori dell’innovazione. In questo periodo può infatti essere utile sfruttare il “rallentamento” che stiamo vivendo per riflettere su ciò che ci sta accadendo e provare a gettare le basi per il mondo che verrà: un domani che più passano i giorni, più iniziamo a immaginare probabilmente diverso da quello di ieri e forse molto più simile a quello di oggi.
Certamente e come è giusto che sia, in questi giorni assistiamo a una grande corsa da parte di tutti per contribuire a trovare delle soluzioni che supportino l’emergenza dell’oggi, dell’”adesso”: da imprese che convertono la loro produzione per realizzare mascherine o camici, a donazioni per far fronte alle spese di allestimento di nuove unità di terapia intensiva, a call per ricercare progetti di innovazione su altre aree altrettanto critiche, quali diagnostica e monitoraggio. Pochi invece, cominciano a programmare o a mettere in campo azioni concrete per il prossimo “domani”, per essere pronti alla ripartenza.
Entrare nel mood di questa seconda prospettiva è senza ombra di dubbio più complicato: in modo quasi animalesco siamo più propensi ad affrontare il pericolo del momento trascinati dall’istinto di sopravvivenza e non sapendo neppure quando la quarantena terminerà, diventa quasi impossibile fare previsioni a medio-lungo termine anche per le cose più semplici e quotidiane.
Credo però sia opportuno imporsi questa prospettiva soprattutto alla luce di ciò che già stiamo vivendo ogni giorno: le file al supermercato, la scelta delle piattaforme su cui organizzare le riunioni, la scuola da remoto (per me vissuta da entrambi i lati della cattedra: come mamma e come docente durante il laboratorio Investing for Good che realizziamo alla Luiss).
Dovremmo ad esempio riflettere sul fatto che il lockdown non è una situazione così contingente e temporanea come sembrava nei primi giorni di marzo, ma che al contrario sta portando ad un radicale cambio di prospettiva geografica di cui
tutti siamo parte. È come se, per effetto di questa pandemia, il mondo si fosse un po’ “avvicinato”; come se da una dimensione globale fossimo passati a una dimensione nazionale, dalle nazioni ai comuni, dai comuni ai quartieri fino alle
case in cui stiamo consumando la nostra quarantena privata.
Pensiamo ad esempio alla spesa a domicilio: se, soprattutto nelle prime settimane, i sistemi per l’e-commerce di alcune player della grande distribuzione ed imprese innovative hanno subito un completo down, abbiamo invece riscoperto il valore delle botteghe di prossimità – macellerie, panifici, piccoli alimentari – che con sistemi probabilmente meno tecnologici di app e siti internet, come un messaggio su WhatsApp o una semplice telefonata hanno sopperito alla mancanza dei grandi player, ritrovando centralità non solo nel mercato ma anche, e soprattutto, nella comunità e nei quartieri. O ancora abbiamo riscoperto il valore dei rapporti di vicinato e un nuovo modo di concepire e condividere gli spazi privati: da terrazze e giardini condivisi a case private che diventano i nostri nuovi uffici. Al contrario, spazi che fino a poco tempo eravamo abituati a vedere pieni di persone, oggi sono più vuoti o addirittura chiusi.
Sono queste le aree che secondo me stanno subendo le trasformazioni più radicali: comunità e spazi. Ed è su questo piano che l’innovazione sociale deve iniziare a muoversi oggi per avere le risposte al domani. Faccio alcuni esempi, sicuramente non esaustivi ma credo molto significativi.
In primis l’innovazione dovrà elaborare soluzioni per i sistemi con cui regolare e pianificare le presenze in spazi come uffici postali o in generale uffici pubblici, stazioni, treni, autobus e metro: già da domani, nella seconda fase di questa convivenza con il coronavirus sarà infatti necessario cambiare radicalmente il nostro approccio alla fruizione di alcuni spazi e servizi e dovremmo dotarci di strumenti che possano favorire la razionalizzazione degli accessi nei luoghi pubblici e la riduzione delle aggregazioni di persone. Non meno importante sarà la riconversione in digitale dei grandi eventi/luoghi di intrattenimento, cultura, networking e business grazie ad esempio a tecnologie come la realtà aumentata. Non ultimo le trasformazioni che stiamo vivendo – e che a dire il vero erano già iniziate negli anni precedenti – ci imporranno inoltre il cambio di passo decisivo per una nuova concezione dei luoghi di lavoro e un nuovo modo forse di concepire ed approcciare la didattica.
Per concludere, la riscoperta delle micro-comunità locali (e non) di cui parlavo nei paragrafi precedenti non dovrà andare perduta, anzi razionalizzata e amplificata: l’obiettivo che dovremmo porci sarà quindi valorizzare le comunità scolastiche, sportive, di quartiere, dei piccoli produttori fino a quelle delle madri e più in generale di genitori e anziani. In che modo? Sicuramente mettendo a sistema le buone pratiche che fino a ora sono emerse spontaneamente per rispondere a bisogni emergenziali ma che forse potranno dare risposte a necessità sociali anche nei prossimi anni. Penso, come anticipato, alla digitalizzazione delle botteghe di prossimità, alla gestione e riqualificazione degli spazi comuni dei palazzi e dei quartieri, al sostegno alle categorie più vulnerabili come gli anziani attraverso sistemi di monitoraggio e assistenza. Per non parlare di un generale ripensamento dell’architettura sia “macro” nell’urbanistica, che “micro” nella gestione delle singole unità immobiliari che in questi giorni stiamo imparando a vivere h24 e stanno diventando le nostre scuole, i nostri uffici, le nostre palestre.
Con ItaliaCamp già da parecchi mesi abbiamo avviato delle riflessioni lungo questa direttrice poiché due delle tre dimensioni di azione degli ITALIA TEAM – gruppi creati attraverso una call pubblica per realizzare progetti d’innovazione a dichiarato impatto sociale, economico e occupazionale – sono proprio Communities e Places. Continueremo quindi a cercare e realizzare soluzioni ai bisogni già emersi e che emergeranno a causa dell’emergenza Coronavirus: chiunque avesse un’idea o fosse a conoscenza di una buona pratica o volesse contribuire con le proprie energie e competenze può visitare la pagina della call “ITALIA TEAM Ripartiamo INSIEME” e compilare il form. Le migliori proposte di innovazione e buone pratiche potranno dare vita ai prossimi ITALIA TEAM con i sostegno di grandi imprese e Istituzioni.
Insieme a ItaliaCamp ma soprattutto Insieme per il Paese.