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21 mag 2020

Comunicare tutti, comunicare meno (o meglio?)

Una riflessione di Cristiano Sammarco, Responsabile Marketing Business Partner di ItaliaCamp, sul ruolo della comunicazione durante l’emergenza e la convivenza per il Coronavirus

Cristiano Sammarco Comunicazione Covid19

Il colmo per un comunicatore è essere introverso? Dubito. Anzi credo che, soprattutto in un periodo di crisi come quello che abbiamo attraversato a causa della pandemia da Coronavirus, ascoltare e osservare prima di comunicare sia stato (e sia) quanto meno una scelta di buonsenso. Infatti, proprio perché la diffusione sempre più capillare dei social network ha trasformato chiunque in una fonte di comunicazione/informazione, comunicare (e comunicare bene) diventa un gesto di responsabilità.

In questi mesi di pandemia, di Fase 1 e di Fase 2, abbiamo assistito a diversi “momenti di comunicazione”, tutti a loro modo inquinati dal vizio capitale del dover “uscire subito”. La prima fase è stata abbastanza schizofrenica e ha visto, da un lato, campagne di comunicazione volte a minimizzare il problema (azioni in stile “Milano non si ferma”); dall’altro, una serie di articoli, video, campagne che – intensificandosi nei primi giorni di quarantena – disegnavano scenari apocalittici. È stata la fase dell’Infodemia, di cui abbiamo già parlato dalle colonne di Huffington Post. Non mi dilungherò nella comunicazione politica perché tra mascherine, travestimenti da infermieri, aperitivi lungo i Navigli, ne abbiamo viste talmente tante che le tesi in comunicazione politica avranno materiali per decenni.

Rispettando quel valore dell’ascolto e dell’osservazione, per non incappare in messaggi confusi nel contenuto (più che nella forma) e per provare – nel nostro piccolo – a contribuire a una riflessione sul quel che “sappiamo” abbiamo aperto i canali della nostra comunicazione interna provando a ragionare ad “alta voce”. Attraverso gli occhi dei componenti del team abbiamo raccontato le trasformazioni (micro e macro) che stavamo vivendo nelle nostre aree di attività: articoli (di cui questo fa parte) e video per descrivere i cambiamenti dei nostri settori professionali. Vivere nell’epoca dell’iper-specializzazione ci deve ricordare che la Tuttologia è una materia che fortunatamente non si insegna: bisogna diventare consapevoli dell’impossibilità di dare chiavi di lettura olistiche, soprattutto al cambiamento imposto alla società da eventi straordinari e repentini. Se questo è vero, è però strategico (e forse più utile) analizzare le trasformazioni che ognuno può osservare nei propri ambiti, per capire le direttrici che condizioneranno il futuro più prossimo. Con questa linea direttiva abbiamo avviato una riflessione collettiva sulle risposte che ogni membro del team, in relazione alle sue competenze e attitudini, avrebbe potuto mettere in campo per affrontare i drastici cambiamenti che hanno sconvolto il nostro modo di vivere e di lavorare. Proprio a partire da queste riflessioni abbiamo infatti organizzato “Insieme nel Mondo”, un evento on-line in cui oltre sessanta rappresentanti del nostro network, connessi da più di 20 Paesi diversi, hanno raccontato le loro esperienze di quarantena da un punto di vista professionale e personale.

L’Infodemia si è poi a poco a poco placata, non per motu proprio ma incoraggiata da messaggi comunicativi più “informati”: i messaggi sono diventati più sereni, più positivi. Io resto a casa e andrà tutto bene sono diventati i nuovi mantra, mentre sono scomparsi dai siti gli allert rossi con il conteggio dei morti e hanno fatto capolino le storie di eroismo e normalità, senza far mancare il racconto duro e realistico della condizione delle zone più colpite (dai servizi nelle terapie intensive, ai documentari girati nella provincia di Bergamo). Una sorta di fiducia collettiva si è impadronita della comunicazione, una sorta di speranza per una ripartenza di cui ancora non si conoscevano le tempistiche, sentimenti positivi minati solo dalle “cacce al runner” che – personalmente – faccio ancora fatica a collocare nella “Notizia d’inchiesta” o nella rubrica “costume e società”.

E poi è arrivata l’ultima fase – che stiamo imparando a chiamare Fase 3 – quella dell’”Insieme” e della ripartenza, delle iniziative per iniziare a immaginare e vivere un post-covid19. Con ItaliaCamp, ad esempio, abbiamo lanciato la call Ripartiamo INSIEME per cercare idee e buone pratiche con l’obiettivo di superare l’impatto del Covid-19.

Quello che ancora non è chiaro è come saranno i mesi che verranno, quelli della convivenza con il virus, in cui la comunicazione giocherà un ruolo forse addirittura più importante di quello svolto fino a ora. In primo luogo perché, con l’estate alle porte, con i bar e i ristoranti aperti, con i mezzi pubblici che tornano a trasportare un numero consistente di passeggeri, con fabbriche e aziende che lavorano a pieno regime, ogni parola dovrà essere più pesata; perché dovremo dimostrare di aver imparato la lezione della prime fasi dell’epidemia, comunicando senza sfociare negli estremi della sottovalutazione o dell’iper-preoccupazione.

Al tempo stesso, piccole attività che non avevano mai pensato di dover comunicare, saranno costrette a farlo: penso ai piccoli negozi e alle piccole botteghe di quartiere, a bar, ristoranti, pizzerie, gelaterie che fino al momento in cui sono stati costretti a chiudere non avevano – probabilmente a ragione – mai riflettuto sull’importanza di impaginare un menù, di aprire una pagina Facebook o un e-commerce, di impostare un servizio di newsletter. D’altronde – complici le conseguenze intenzionali e non-intenzionali delle misure attuate durante le prime due Fasi della lotta al Coronavirus – abbiamo assistito a una trasformazione dei consumatori e, in qualche modo, dell’urbanistica delle città: laddove i grandi distributori non riuscivano a dare risposte celeri alla domanda di prodotti, davanti alle file infinite per entrare nei supermercati e alle norme che impedivano gli spostamenti in automobile per fare la spesa, in molti hanno riscoperto la dimensione molto più slow delle botteghe di prossimità. Per tutti questi esercenti vale il dogma dell’innovatore per cui ogni crisi si trasforma in un’opportunità. Ora spetterà a loro, anche e soprattutto attraverso la comunicazione, saper mantenere la nuova clientela acquistata, non solo implementando e aggiornando le loro modalità di distribuzione ed erogazione di servizi e prodotti, ma anche cercando di dare risposta a un’audience abituata di certo a standard “comunicativi” più moderni. Non mi riferisco a bot su Telegram o grafiche rivoluzionarie, ma anche semplicemente all’aggiornamento delle info di contatto su Google My Business o sulla propria Pagina Facebook. Piccoli gesti che nel mondo che si sta poco a poco delineando davanti ai nostri occhi, faranno la differenza tra chi riuscirà a cogliere l’opportunità di un nuovo modo di immaginare i servizi locali e chi invece verrà tagliato fuori da una crisi sociale ed economica senza pari.

Oltre a questo, almeno nelle medie e grandi aziende, giocherà un ruolo cruciare la comunicazione interna: le organizzazioni, soprattutto se – come sembra evidente – lo smart working non rimarrà un ricordo dei mesi di quarantena, dovranno trovare il modo di tenere informati e attivi i membri dello staff. Non mi riferisco solo alla produttività, ma anche a tutte quelle azioni di comunicazione informale che, almeno secondo il mio parere, costituiscono la forza di un team: le chiacchiere davanti a un caffè, il pranzo insieme, la birra usciti dall’ufficio.

Tutte quelle componenti sociali del mondo del lavoro che sono la linfa vitale di un’organizzazione.