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13 Giu 2023

Tra arte e didattica: dialogo tra Italiacamp e Studio Azzurro

Laura Marcolini di Studio Azzurro e Riccardo Santilli di Italia per i Dialoghi di Brera

Mercoledì 24 maggio Italiacamp e Studio Azzurro, gruppo di ricerca artistica che dai primi anni Ottanta esplora i linguaggi delle nuove tecnologie, sono stati ospiti dei Dialoghi di Brera per un incontro davanti agli studenti dell’Accademia sui rapporti e le connessioni tra arte e didattica.

Ha dato il via al dialogo Riccardo Santilli, Head of Communities di Italiacamp, citando l’antropologo Gregory Bateson che nella sua opera più nota – “Verso un’ecologia della mente” – chiama in causa William Blake sul tema dei confini. Secondo Bateson il poeta avrebbe scritto in due suoi diversi scritti: “I pazzi vedono i contorni e perciò li disegnano” e “I saggi vedono i contorni e perciò li disegnano”.

Viene da chiedersi: chi vede davvero i contorni? I pazzi o i saggi? Sicuramente la capacità di vedere i contorni è rara ed è anche un elemento fondamentale attraverso il quale passa l’apprendimento. Basta pensare alle date che stabiliscono l’inizio e la fine di un’epoca storica, o ai momenti che segnano fasi diverse di una relazione o di un processo. La capacità di vedere questi contorni è anche capacità di vedere e interpretare il reale. Al tempo stesso però i contorni possono imporsi all’attenzione e costringerci a vedere la realtà in un’unica direzione o in modo fuorviante: possiamo dire ad esempio che una persona nata il primo gennaio 1997 appartiene alla categoria della Generazione Z mentre una nata il 31 dicembre 1996 è un Millennial?

Oggi la complessità di costruire un percorso educativo sta proprio nella capacità di far vedere i contorni e al tempo stesso essere in grado di rimodellarli e cambiarli costantemente. Quando ad esempio si realizza un percorso di education sulla robotica per bambini, è molto conveniente usare metafore per raccontare l’azione di un robot: il robot vede l’ostacolo e decide di evitare l’ostacolo. In questo modo costruiamo una mappa mentale per il comportamento umanizzandolo, anche se quel comportamento è tutto fuorché antropomorfo. Seppur comodo, sarebbe fuorviante rimanere aderenti alla metafora senza spiegarne il meccanismo che si nasconde dietro.

Contorni e margini sono fondamentali anche nella ricerca artistica di Studio Azzurro. Come spiega Laura Marcolini, questi sono una metafora. Ad esempio, nei primi anni Ottanta il collettivo cercava di forzare il dispositivo del monitor, facendo “sconfinare” un’immagine da un televisore all’altro attraverso la tecnica della sincronizzazione degli schermi. Espressione di questa ricerca è “Il nuotatore (va troppo spesso ad Heidelberg)”, dove una persona che nuota è stata ripresa in piscina da 12 telecamere e poi riprodotta facendole attraversare 12 monitor accostati l’uno all’altro. Questa ricerca si è evoluta sfruttando la possibilità che le immagini si possano adagiare nello spazio e diventare presenze attraverso cui costruire un nuovo racconto: scontornare, eliminare i margini, fare apparire le immagini dal nero crea nuove presenze, seppur virtuali. Ridefinire contorni e margini, ridefinire uno spazio e il rapporto che con esso ha lo spettatore o proporne un nuovo orientamento è molto forte drammaturgicamente e in questa ridefinizione il gioco, tradotto in interazione attiva e propositiva con lo spettare o nella ridefinizione di un ambiente e di un percorso, può avere una funzione chiave.

Il gioco è un elemento molto importante anche nella didattica, come sottolinea Riccardo Santilli, soprattutto in un contesto come quello contemporaneo in cui ci troviamo spesso a dover fare i conti con la complessità. Davanti alla complessità si possono avere due atteggiamenti opposti: rassegnarsi e subirla o fuggire. Sono due comportamenti che tanto socialmente quanto al livello delle organizzazioni – aziende, istituzioni – non possono essere una risposta efficace per affrontare la complessità. Ma è proprio tra questi due comportamenti che può subentrare il gioco. Il modo in cui può subentrare lo racconta  bene il filosofo americano Ian Bogost nel suo libro “Play Anything”. Racconta di trovarsi in un centro commerciale durante il weekend e circondato dalla folla – proprio come noi davanti alla complessità – finisce con il subirla passivamente e pensa che l’unico modo per evitare spinte a destra e a manca sia quello di uscire, di scappare. La tensione tra questi due atteggiamenti viene rotta dalla figlia, che tenendolo per mano lo fa camminare in modo strano, a zig-zag. Quando lui chiede spiegazioni, lei risponde che sta giocando a camminare solo sulle mattonelle nere del pavimento: ecco come il gioco entra prepotentemente in scena rompendo il pericoloso equilibrio tra rassegnazione e fuga davanti alla complessità.

Il discorso sulla complessità ci porta anche verso un’altra direzione: quella della mappa. Se vogliamo davvero comprendere la complessità abbiamo bisogno di una cartografia che ci faccia orientare, una cartografia che deriva da una mappatura e rimappatura costante del territorio che dobbiamo affrontare. Al tempo stesso però bisogna stare attenti ed essere consapevoli che, come sosteneva Alfred Korzybski, la mappa non è il territorio ma una sua rappresentazione. Questo è particolarmente importante durante le simulazioni a scopo didattico: le simulazioni nell’apprendimento sono utili quando – come per la differenza tra “mappa e territorio” – si riesce a mettere a fuoco il fatto che una simulazione non è il reale, perché se lo fosse sarebbe inutile. Una simulazione è utile invece quando semplifica il sistema, lasciando trasparire i principi e le regole che hanno ispirato tale rappresentazione in modo che le regole stesse possano essere modificate e reinterpretate di volta in volta, in base al problema che si ha davanti e all’obiettivo che si vuole raggiungere.

Quello della mappa è un tema centrale nella ricerca artistica di Studio Azzurro e non a caso una delle loro più rappresentative si intitola proprio Sensible Map. In quest’opera del 2008 il collettivo si è messo in connessione con la comunità dei cittadini di Casablanca e insieme a giovani artisti del luogo ha provato a raccontare questa città in un modo diverso. Sono state trovate in giro per la città persone disponibili a farsi intervistare e a mostrare un percorso urbano a loro particolarmente caro, anche di pochi metri. Con la costruzione del dispositivo rappresentativo è nato poi il paradosso: queste persone incontrate in strada sono state immortalate in un teatro di posa mentre compivano piccole azioni performative e intorno a loro costruito un dispositivo molto complesso che rimetteva in scena le loro storie riproducendoli in scala 1:1 (se non più grande) e facendoli girare e parlare quando venivano toccati dallo spettatore.

È stato un lavoro di doppia rimappatura: gli abitanti hanno ri-raccontato la loro città e l’hanno vista ri-raccontata in modo nuovo, con delle combinatorie sempre diverse e di conseguenza con sempre diverse combinazioni di storie, in base all’ordine in cui lo spettatore decideva di “interpellare” una delle proiezioni che comparivano sullo schermo. Si è trattato anche di una ri-mappatura del pensiero stesso di Studio Azzurro, creando una nuova mappa e un nuovo modo di raccontare storie (in questo caso degli altri) segnando un passaggio molto importante nella storia del collettivo: da questo momento in poi lo studio è andato sempre più alla ricerca delle storie degli altri e non necessariamente di quelle raccontate da cinema, letteratura, o scovate dentro di sé.

Didattica e arte sono legate da meccanismi profondi e spesso non facilmente osservabili “a occhio nudo”. Riuscire a mettere a fuoco e reinterpretare confini, mappe e sistemi di significazione permette di compiere un fondamentale salto qualitativo tanto nella ricerca artistica quanto nella costruzione di percorsi didattici innovativi.