22 giu 2022
L’importanza di uno spazio fisico per lo sviluppo di idee di impresa
Una riflessione di Eleonora Dusi, Head of Places di Italiacamp, sul ruolo degli hub per generare valore per comunità e territori
Alle idee serve una casa, esattamente come alle persone. Perché la casa è il luogo a cui si appartiene e il luogo in cui tornare. Un posto reale che ha a che vedere con l’identità di una persona: io sono il luogo a cui appartengo. È vero che possiamo chiamare “casa” anche delle persone: la famiglia, il gruppo di riferimento. Tuttavia, appartengono sempre a un luogo, perché sono le persone con cui parliamo in videochiamata e a cui diremo sempre: non vedo l’ora di rivederti, non vedo l’ora di tornare a casa.
Ma se una casa è essenziale per una persona, lo è anche per un’organizzazione? Di certo l’esperienza ci insegna che un luogo fisico non è affatto indispensabile per la nascita e il successo di un’impresa. Esistono numerosi casi di aziende totalmente immateriali (come GitLab, Stripe, Spotify) o quasi (Lime, Memmo, Revolut) con persone che lavorano insieme senza essersi mai incontrate dal vivo. Per una startup ho lavorato in questo modo per due anni e mezzo: il non conoscerci di persona non ha impedito di darci degli obiettivi o di raggiungerli, né ha impedito di formare dei legami, quelli che ci hanno fatto sentire impotenti, da Parigi a Bordeaux fino a Roma, quando i colleghi ucraini ci hanno detto che non potevano scappare da Kiev.
Allora perché abitare un luogo fisico? Perché quello che fa uno spazio fisico per l’impresa è farla esistere nel reale. Fa incontrare le persone in un’esperienza di condivisione materiale. Così si genera osmosi in un modo spontaneo che non potrebbe essere innescato nel contesto di una frequentazione online basata su call programmate.
Negli anni in cui ho gestito spazi di coworking, la motivazione più diffusa delle persone per essere lì, dati alla mano, stava nel fatto che volevano incontrare altre persone. Nel momento in cui creiamo un contenitore e vi facciamo accadere delle cose, quel contenitore acquisisce un’identità esso stesso e assume un significato anche nel contesto sociale. Diventa, cioè, un significante. In quanto oggetto, non può essere ignorato: ci si incappa. Non lo si trova solo
tramite un motore di ricerca o per la fortunata combinazione di SEO, sponsorizzazioni e algoritmi, ma lo si incontra sulla propria strada, laddove modifica il panorama abituale o rigenera un quartiere, laddove ospita centinaia di studenti per un laboratorio o nel paese spopolato che si è trasformato in uno smart village.
Quando uno spazio fisico, un edificio, assume questa identità tanto forte, cambia il contesto in cui è collocato. Il paesaggio di un luogo cambia con la costruzione di un nuovo edificio. L’aspetto di una via può mutare, con una nuova insegna. Soprattutto, un luogo nuovo dà origine a un nuovo un punto di interesse. Dove prima c’era un civico anonimo o un paese spopolato, ora c’è un HUB, oppure c’è la sede di Google.
Perché aziende come queste, aziende come Google o innumerevoli scale-up digitali decidono che, a un certo punto, sono diventate grandi ed è ora di comprare casa?
Ci sono tre motivi e un corollario.
- Il primo è strutturale. Alcune funzioni, come è evidente, non possono essere svolte da remoto. Pur se tutto si può fronteggiare con la tecnologia e – questo è il punto – con l’outsourcing, si arriva a un livello di crescita in cui questo è anti-economico e rischioso e le cose si devono fare in house. Per l’appunto: in casa propria.
- Il secondo motivo è di pura convenienza. Avere una sede fisica consente alle imprese, in una fase di crescita molto rapida o di capitalizzazione spinta, di appartenere a un ecosistema particolarmente attraente (come la Silicon Valley, ma come anche un polo industriale di una città italiana o una zona che attrae fondi pubblici) come anche di accedere alla fiscalità e alle risorse di un determinato paese o regione.
- Il terzo motivo risiede nel concetto espresso inizialmente. Avere il proprio luogo, quello in cui riconoscersi e in cui essere riconosciuti. L’azienda di Cupertino o quella di Maranello sono riconoscibili anche attraverso il loro luoghi ed essi danno densità all’impresa. I luoghi citati, peraltro, sono esemplari dal punto di vista della loro iconica architettura e delle tecnologie che ospitano.
Il corollario è che la presenza in un territorio di un grande oggetto in cui accadono le cose, girano persone e che ha un significato leggibile è ingombrante: l’ambiente e la comunità di quei luoghi saranno infatti influenzati in modo più o meno dirompente dalla presenza di questo parallelepipedo con un’anima.
Gli effetti che questo oggetto produce dentro e fuori costituiscono un tema in termini economici e sociali: lo dimostra il fatto che la scelta su dove insediare un‘unità produttiva di una multinazionale può provocare incidenti tra paesi amici.
Un esempio su tutti di come un luogo fisico sia strumento d’impatto è lo stabilimento Olivetti di Pozzuoli. Non solo mette al centro il lavoratore (la luce, lo spazio, la vista sul mare), ma sostiene il suo sviluppo come persona (la biblioteca, l’arte, le opportunità). Uno spazio che non parla solo a chi è al suo interno, ma interagisce con l’esterno, integrandosi nel paesaggio naturale e considerando, nella scelta del luogo, le ricadute che un impianto di quella portata potrà avere nel contesto economico: Adriano Olivetti sceglie il Sud, un certo Sud, non a caso.
Il punto infatti è che quando parliamo di “sviluppo di impresa” non dobbiamo pensare che si parli solo di “sviluppo di una singola attività economica”, bensì di “sviluppo di un ecosistema”. A maggior ragione sviluppo di impresa in una zona di Italia come il territorio dei Nebrodi annoverata fra le “Aree Interne” – cioè quelle fortunate paesaggisticamente ma sfortunate morfologicamente – vuol dire sviluppo di una struttura e di una infrastruttura di tipo economico e sociale che creino crescita collettiva e ricadute di valore nel lungo periodo. Tutto questo si può fare solo stando lì.
Questo è il modello che ispira gli hub per lo sviluppo di impresa come il Nebrodi Living Lab: contenitori che diventano il motore di un cambiamento.