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04 mar 2020

Femminismo in progress?

Lunedì 8 marzo si è svolto il secondo appuntamento del ciclo “A Gentle Manifesto” dell’Associazione Italiacamp: un talk on-line per discutere cosa è cambiato dopo un anno di Covid19

Italiacamp Femminismo in progress?

Lunedì 8 marzo si è svolto il talk on-line “Femminismo in progress? cosa è cambiato dopo un anno di Covid19”, secondo appuntamento di un ciclo di eventi organizzati per contribuire all’elaborazione del “Gentle Manifesto” dall’Associazione Italiacamp, un progetto che raccoglierà le posizioni sul “buon comportamento” come elemento trasversale per settori differenti.  

Coordinate da Serena Scarpello, presidente dell’Associazione Italiacamp, e con la moderazione della giornalista de Il Foglio Simonetta Sciandivasci, sono intervenute:

  • Cristiana Capotondi, attrice 
  • Maria Beatrice Benvenuti, arbitro di rugby a 15
  • Federica Santini, presidente Trenord 

Le ospiti del talk, in occasione della “Giornata internazionale della donna”, hanno discusso di parità di genere e di empowerment femminile, in particolare in un anno come quello appena trascorso, in cui disparità economiche e sociali sono state amplificate dalla pandemia. 

Serena Scarpello ha introdotto il dibattito elencando le sue parole chiave per l’emancipazione femminile: gentilezza, cura e sfida. Parlando delle motivazioni che hanno spinto l’Associazione Italiacamp a organizzare l’evento, ha evidenziato come sia di fondamentale importanza “creare occasioni di dibattito sul tema” proprio con l’obiettivo di “scardinare ogni banalizzazione sulla questione. Infatti, il tema culturale è il punto di partenza: non solo l’uso delle parole, ma anche l’educazione”.

Quella che potremmo definire “questione culturale” del Femminismo è stata messa a fuoco anche dall’intervento di Simonetta Sciandivasci: “Il problema della rappresentanza femminile sta nella disparità tra la sensibilità ai bisogni delle donne e il ruolo che queste sono chiamate a adempiere, la politica ne è un esempio. Per questo è necessario ripensare e decostruire senza freno: la necessità più grande dell’emancipazione non è garantire un safe space a ogni costo e senza criterio, ma lasciare ogni donna nella condizione di poter scegliere, senza dover rinunciare a qualcosa più di quanto debba fare un uomo”. 

Il Covid19 però è stato anche un acceleratore di disuguaglianze economiche e ha fatto emergere con forza quanto alcune cesure siano ancora molto forti all’interno della nostra società. Un dato su tutti, la percentuale di donne che ha perso il posto di lavoro proprio nell’ultimo anno, anche a causa della pandemia: su 101.000 nuovi disoccupati, 99.000 (98%) sono donne. Per descrivere questo fenomeno, negli Stati Uniti è stato coniato il termine Shecession, she-recession: la recessione che colpisce in modo più forte le donne, soprattutto rispetto alla crisi del 2008 dove la più importante perdita di posti di lavoro era concentrata nell’edilizia e nell’industria manifatturiera, due settori in cui gli occupati sono principalmente uomini. Oggi invece la crisi economica e sociale causata dal Covid19 interessa principalmente le donne, dal punto di vista lavorativo e da quello sociale. Lo smart working infatti ha fatto emergere i differenti rapporti di potere nei ruoli familiari. Il report Women in Tech di Kaspersky “Where are we now? Understanding the evolution of women in technology” descrive molto bene questo trend: il 44% delle donne italiane del settore tech ha dichiarato di avere fatto molta fatica a dividersi tra lavoro e vita familiare. Se per il 36% degli uomini l’ostacolo al lavoro da remoto sono stati i lavori domestici e per il 36% la didattica a distanza per i propri figli, queste percentuali salgono rispettivamente al 60% e il 66% nelle donne. In conclusione, il 47% delle lavoratrici ha dichiarato che gli effetti del Covid hanno rallentato la loro carriera. 

Un’importante posizione su questo fenomeno arriva dall’intervento di Federica Santini, presidente di Trenord e membro del Consiglio Direttivo dell’Associazione Italiacamp: “domandarsi quante donne ricoprano ruoli da top manager o compongano i Consigli di Amministrazione non è il fulcro del problema, ma un vezzo: il punto per le donne è riuscire a ottenere certe cariche e posizioni per potersi occupare delle questioni femminili pressanti e dirimenti proprio per tutta quella percentuale di donne che non sono in determinati contesti e non hanno modo di dar voce a una serie di tematiche scottanti come equità salariale e riconoscimento dei diritti”.

Sempre con le parole di Serena Scarpello: “durante questo anno così terribile abbiamo capito in quali settori non c’erano delle politiche a supporto delle donne. Poiché sono stati quelli più colpiti per l’occupazione femminile, sono anche quelli su cui intervenire, usando tutti i dati che abbiamo raccolto a riguardo, anche per cambiare la mentalità e fare educazione culturale su questa tematica.

Anche per le donne nello sport infatti, è stato un anno molto complesso, come testimoniato da Maria Beatrice Benvenuti: “la maggior parte delle donne sportive non sono professioniste e nel contesto pandemico per quasi tutte questo è stato un limite che ha reso inconciliabile la vita professionale e personale con quella sportiva: sono state sospese gare, partite e anche competizioni internazionali molto importanti. Nell’intervento ha poi raccontato la sua esperienza di arbitro in uno sport, il rugby, considerato molto “maschile”: “ho capito che mi dovevo guadagnare il rispetto in campo, che agli uomini è dato per scontato e automatico nel ricoprire il mio stesso ruolo. L’ho fatto attraverso la gentilezza, cercando di migliorare il contesto in cui mi trovo, arricchendolo con un valore aggiunto, quello della femminilità.

Come molti opinionisti hanno fatto notare questo tema non riguarda solo una dimensione numerica. Il femminismo infatti, in particolare negli ultimi anni, ha portato avanti molte battaglie in favore di un linguaggio più inclusivo e neutro, meno condizionato da una prospettiva maschile che a volte sfocia anche nel sessismo. Un linguaggio che abbiamo interiorizzato e che finisce con il determinare e marginalizzare, pur inintenzionalmente, il ruolo delle donne nella società e le loro conseguenti prospettive economiche o politiche.

Proprio su questo tema è intervenuta Cristiana Capotondi, attrice e membro del Consiglio Direttivo dell’Associazione Italiacamp: Il nuovo femminismo si impunta sull’attenzione spasmodica al linguaggio, che rischia di distogliere però dalla vera forma del problema: il principio di rivalsa che porta allo scontro con il genere maschile può lasciare irrisolto il rapporto con gli uomini, togliendo energia a altre tematiche di primo piano nella questione femminile.

Si tratta di fenomeni che invitano a riflettere sulle direzioni e contaminazioni con cui il femminismo ancora oggi, a distanza di secoli dalle sue prime manifestazioni, può essere un potente strumento di mobilitazione.